Il sogno di un visionario, un mistico, uno spirito libero, un artista, un fotografo…: The family of man, la mostra inaugurata nel 1955 al Moma a New York, voluta e organizzata da Edward Steichen, allora direttore del Museo, ed entrata nel Registro della Memoria del Mondo Unesco nel 2003, ma dall’Unesco promossa fin dalle origini, come dimostra il numero quasi monografico ad essa dedicato, uscito nel febbraio 1956, su The Unesco Courier (scaricabile in pdf). Una mostra visitata da oltre 10 milioni di persone nel primo decennio, quando era itinerante tra gli Stati Uniti, l’Europa e l’Italia (Torino). Qui la storia della mostra.
1955: una iniziativa che voleva celebrare la vita e la pace in epoca di guerra fredda, dopo due guerre mondiali, dopo la terribile prima metà del Novecento. Questo il contesto socio-politico mondiale, in cui il progetto si inseriva.
Concepita anni prima da Edward Steichen, che aveva iniziato a lavorarci forse dalla fine della seconda guerra mondiale, che l’Unesco, tra le altre riflessioni di allora, recensisce così:
“One exhibition entitled ‘The Family of Man’ was cited as an example where each photograph by itself ‘does not tell the story’ but the message is conveyed by the ensemble of photographs. In this issue a section is devoted to a presentation of “The Family of Man” a camera testament that illustrates one of the principal goals of Unesco today: the unity of all mankind within its varied diversity”. (The Unesco Courier 1956, pag. 3).
Una mostra che si presentava così, come mostrano in parte le fotografie che seguono, una ricostruzione fedele dell’esposizione originale, diventata permanente nel Lussemburgo dalla metà degli anni novanta e rinnovata nel 2013, quando è stata riaperta al pubblico, dopo un lungo restauro, e studiata anche come modello di una enorme opera/installazione d’arte. (Dopo la galleria di immagini, l’articolo prosegue anche con altra documentazione, ndr)
Qui il link ad alcune immagini dell’epoca, realizzate da Wayne Miller.
Qui il link al catalogo originale scaricabile in pdf (da archive.org).
Un progetto epico e sacrale, utopico forse, più che ambizioso come pure si annunciava, The family of man, ideato e realizzato con commozione e compassione, ruotante tutto attorno alla ricerca e al riconoscimento del mistero dell’umano e della vita. Una esibizione immaginata, impaginata e presentata con lo sguardo e il linguaggio, la sensibilità, la visionarietà, la profondità, la spiritualità dell’arte, che sa intuire l’inconscio collettivo e se ne fa portavoce. Tra i suoi realizzatori, oltre il fotografo Edward Steichen, il poeta Carl Sandburg, il pittore, illustratore, grafico e scrittore per bambini e ragazzi Leo Lionni, il fotografo Wayne Miller stretto collaboratore di Steichen nella realizzazione di questa mostra, e i tanti fotografi coinvolti, artisti noti e meno noti, presentati però tutti sullo stesso piano, senza gerarchie legate alla notorietà e senza nessuna concessione ad estetismi di sorta. 503 immagini selezionate (su oltre 2 milioni pervenute), opere di 273 fotografi, provenienti da 68 paesi, portatori tutti di un unico messaggio, nella diversità delle loro opere e del loro stile, come la citazione precedente specifica.
In numerosi articoli, apparsi nel 2013, in occasione della sua riapertura, si scrive sia stata anche criticata, all’epoca, oltre elogiata e ammirata… criticato il progetto di racconto e rappresentazione universali, totalizzanti, attraverso la fotografia, di una presunta famiglia dell’uomo, che tutti accomuna in ogni parte del mondo.
Criticata per l’ambizione, l’ingenuità, l’utopia, l’irrealtà della sua proposta.
Eppure, nel catalogo che potrete leggere scaricandolo anche in calce all’articolo, emerge tutt’altro, a mio parere.
Un bisogno di pace, certamente, un bisogno di spiritualità e di sacralità, come già scritto, un bisogno di universalità nel rispetto e nella rappresentazione della diversità, contro ogni razzismo, un bisogno di inclusione, amore e solidarietà nel dolore, nella fatica, nelle difficoltà, nella morte, oltre che nella gioia e nella vita, sofferenze che pure le fotografie esposte non negano né celano (qui l’articolo sul New York Times dell’ottobre 2015)… Una esperienza sensoriale immersiva, fortemente emotiva ed innovativa all’epoca, scandita dal racconto della vita della famiglia, i cui capitoli “universali” sono presentati da citazioni letterarie, filosofiche e religiose provenienti da culture occidentali, orientali, indiane d’america: il fidanzamento, il matrimonio, l’attesa di un figlio, il parto, la maternità, la cura dei figli, la loro crescita, i loro giochi, i conflitti, le loro sofferenze, nella povertà e nello sfruttamento, oltre nel benessere, l’educazione, il lavoro e la fatica, in rapporto all’ambiente, in ogni settore e in ogni tipo di società e comunità, il cibo e la tavola. E ancora: lo stare insieme, per mangiare, per fare il girotondo, per cantare, per ballare, per suonare, per ascoltare la musica del mondo, per divertirsi, per imparare e studiare, per riposare, per guardare il mondo, per morire, per soccorrere nel dolore, nella malattia, nella solitudine, nella guerra, nel bisogno e nella ricerca del sacro, nella preghiera, nell’orrore, nella conquista e nel rispetto dei diritti, nella partecipazione sociale e politica, nel rinnegare la guerra…nel ritorno all’infanzia.
“Not long before dying, Steichen said: ‘The function and mission of photography is to explain man to man and man to himself.’ That is the reason The Family of Man continues to capture our imaginations”. (Giovanna Dunmall, The Guardian, 5 luglio 2013).
Una mostra bellissima, per fortuna arrivata fino ad oggi e permanente nel Castello di Clervaux in Lussemburgo. Tutte le opere e le loro installazioni sono state restaurate e riproposte al pubblico, dopo un lavoro durato tre anni, dal 2011 al 2013, a cura dello studio italiano di Silvia Berselli!
Qui tutte le informazioni per visitarla, sul sito delle Collezioni Edward Steichen, presso il CNA – Centre National de l’audiovisuel, depositario del patrimonio di questa meta opera.
Il catalogo originale del 1955.
Una selezione di immagini sul The Guardian, novembre 2015.
Quante attività potrebbe ispirare questo catalogo ancor oggi, quale strumento didattico nelle classi delle scuole di ogni ordine e grado! Qualche suggerimento? Dopo averlo sfogliato ed esplorato con i ragazzi (sui propri tablet) si potrebbero invitare gli studenti a scegliere delle immagini rappresentative per loro, sollecitandoli a motivare le scelte, e confrontandole con altre fotografie che potrebbero raccogliere e produrre a loro volta all’interno delle proprie famiglie, seguendo gli stessi temi proposti nel catalogo, o suggerendone di nuovi. E perché non pensare successivamente anche ad allestire una mostra nella propria scuola, considerando che i ragazzi potrebbero provenire da culture diverse?
Il numero del The Unesco Courier del 1956 (dopo il lancio nella prima pagina, continua a pagina 18).
A margine: non tutti amano questa iniziativa e il suo ispiratore. Scianna per esempio non apprezza il “movimento” umanista nella storia della fotografia … Personalmente amo i progetti in cui si scorge la necessità, l’urgenza di migliorare, idealisti e visionari, accanto a quelli senza pretese, altrettanto meravigliosi, che aderendo alla realtà, porgendola e rappresentandola, anche in modo astratto e apparentemente distaccato, hanno lo stesso intento: migliorare …